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Parlando al “Cinema Beltrade” di MIlano, uno dei pochi che proietta di il film “Sulla mia pelle”, Alessandro Borghi ha raccontato come è stato vestire cinematograficamente i panni di Stefano Cucchi il trentunenne romano morto il 22 ottobre del 2009 nell’ospedale Sandro Pertini dove era stato ricoverato dopo sei giorni passati agli arresti.  “Il regalo più grande che mi ha fatto la famiglia – ha detto Borghi – è quello di permettermi di fare il film. Oltre a questo tecnicamente non mi hanno dato dei grandi aiuti, anche perché non ce ne era bisogno: se fossi stato in contatto con loro, la mia rabbia sarebbe aumentata invece che essere messa da parte”.

La sorella di Stefano, Ilaria, che sin dall’inizio si è battuta come una leonessa insieme alla famiglia per ristabilire la verità sulla morte del fratello, dopo aver visto la pellicola ha telefonato a Borghi e, racconta l’attore,:  “mi ha detto ‘non so come tu ci sia riuscito, però sei uguale a mio fratello’”.

 “Due giorni fa – ha rivelato Borghi – lo hanno visto anche i genitori, che non avevano avuto il coraggio di vederlo prima, e Ilaria mi ha mandato un messaggio: ‘mamma non ha il coraggio di chiamarti, però voleva dirti ‘mi ha fatto un regalo enorme perché anche solo per un’ora e mezza mi ha riportato in vita Stefano’. Mentre io dico questa cosa a me manca il fiato, ma loro questa cosa la vivono con una forza che è inusuale; non so se io avrei avuto il coraggio di affidare il ricordo di mio figlio nella mani di un attore, di un ragazzo di 30 anni”.

“Loro si sono fidati e adesso sono felici perché questo film ha la possibilità di insinuarsi nelle coscienze e non è un caso che, dopo nove anni, da giorni tutta Italia parla di nuovo di Stefano Cucchi. Loro sono contenti perché vedono che c’è una memoria viva e questa memoria viva probabilmente porterà a una fase del processo che sarà molto più interessante di quella che c’è stata fino ad adesso”.

“Questo film – ha precisato l’attore – non santifica nessuno. Il messaggio che deve arrivare è che nonostante tu possa essere il peggiore non meriti di essere ammazzato. Sullo schermo c’è anche l’indifferenza, l’incuria, l’incapacità di assolvere ai propri doveri. Molti credono di sapere molto sul caso Cucchi, vi accorgerete di non sapere niente”. Il racconto non fa sconti a nessuno: dai carabinieri che lo arrestarono ai medici che lo ebbero in consegna, dalla polizia penitenziaria alla vittima e alla sua famiglia.

Il film di Alessio Cremonini, che concluso Borghi, “aiuta a scandire tutti gli eventi che ci sono stati in questi sei giorni di prigionia di Stefano, quelli che poi lo hanno portato alla morte. Si entra al cinema con l’idea che non è cascato dalle scale e si esce con lo stesso pensiero, ma molto più incazzati o molto più tristi perché vengono mostrate tutte le debolezze dell’essere umano, quanto possa essere indifferente e insensibile davanti al dolore”.

RED