Gli accordi di pace tra Etiopia ed Eritrea, che hanno messo fine ad una guerra ventennale e ad una campagna denigratoria contro l’Eritrea orchestrata a livello internazionale dalla minoranza tigrina per molti anni alla guida del governo di Addis Abeba, stanno pian piano provocando l’emersione di una serie di verità per troppo tempo tenute nascoste. Uno dei pilastri della macchina del fango utilizzato per tentare di distruggere il presidente dell’Eritrea, Isaias Afewerki, risponde al nome di Don Mussie Zerai, prima dipinto come prete paladino della libertà e degli immigrati – fino al punto che qualcuno ha provato a candidarlo al nobel per la pace – oggi smascherato per quello che è. Cioè un signore più attento alla cura dei danari, i suoi, che delle buone anime.
Ma andiamo con ordine. Tra i primi in Italia a rivelare la vera vocazione di Don Mussie è stato Fausto Biloslavo. Il giornalista di esteri, esperto di guerre e conflitti etcnici, in un artitolo apparso su Panorama ricostruiva il ruolo e la figura di questo signore che prima di diventare prete aveva già avuto condanne per questioni di droga. Dopo Bolislavo anche altri giornali, come ad esempio Il Giornale e La Verità, accendevano un faro mediatico sul Don rivelandone magagne e misfatti.
“Pare proprio che Mussie Yosief Zerai – scrive la Verità – prima di prendere voti e abito talare, sia finito in carcere, a Roma, nel 1994. E sia stato condannato a due anni di reclusione, con rito abbreviato, per concorso in detenzione ai fini di spaccio di 2,2 chilogrammi di hashish”. Insomma, più che ostie consacrate don Mussie semprava dedito alla distribuzione di canne e spinelli. Un’attività di spaccio che la Verità conprova con due documenti incontestabili: “Il primo è datato 6 maggio 1994 ed è il verbale di udienza con il quale viene convalidato l’arresto di Yosef Zerai”. Una posizione complicata tant’è che l’avvocato di Zerai dell’epoca non si oppone neppure agli arresti limitandosi a chiedere gli arresti domicialiari. Richiesta che il giudice nega ritenendo “la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza”.
Il secondo documento citato da la Verità è invece un semplice riassunto della sentenza: “Ci sono impressi – scrive la Verità – il numero del registro generale delle notizie di reato (il fascicolo di Zerai è il 6939 del 1994) e quello del registro dell’ufficio del GIP (7307/94)”. Nelle disposizioni finali il giudice stabilisce inoltre che a pena espiata sarebbe stata ordinata l’espulsione di Zerai dall’Italia.
Biloslavo, oltre alle questioni relative allo spaccio di droga, fa luce anche su un’altra attività illecita che vede protagonista Don Mussie vale a dire quello del traffico di migranti. Zerai risulta infatti scritto nel registro degli indagati di Trapani con l’accusa di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. L’inchiesta è quella che riguarda la ONG tedesca Jugende Rettet e appunto indaga sui sistemi di reclutamento di migranti e sui relativi guadagni.
Ma Zerai non è solo in questa spasmodica e apparentemente disinteressata attività a favore di chi vuole lasciare l’Eritrea e l’Africa. Il suo proselitismo ha successo anche grazie all’attivismo mediatico di questo atipico prete. Vede personaggi come Papa Francesco o l’allora presidente della Camera Laura Boldrini e ogni volta non manca di dare evidenza mediatica a questi incontri utilizzando giornali e social network. Un’attività che alimenta il suo mito e l’immagine del buon pastore.
Tant’è che nel tempo altri prendono il suo esempio e si lanciano in queste attività che mischia buoni prositi al più bieco schiavismo. Indicando sempre il presidente dell’Eritrea come il nemico da abbattere e usandolo sapientemente come catalizzatore d’attenzione, intorno a Zerai si riuniscono altri adepti. Tra questi due sono particolarmente attivi. Uno è Abrham Tesfai, l’altro è Tareke Brhane. Entrambi si danno un gran da fare. Collaborano con strutture pubbliche, Tesfai a Bologna lavora come mediatore culturale dell’Ufficio Migrazione, Brhane è presidente del “Comitato 3 ottobre”, associazione pro migranti che nel nome ricorda il naufragio di Lampedusa dove nel 2013 morirono 368 migranti.
Nel solco di Zerai anche questi due personaggi, come racconta Panorama, si battono formalmente per i migranti. Poi, scavando, si scopre che la storia è la solita. Che a muovere le cose non è la carità umana ma il business, che la propaganda contro l’Eritrea è solo un pretesto servito per far finta di stare dalla parte dei buoni. Ma ora, come dicevamo, gli accordi di pace tra Etiopia ed Eritrea hanno cambiato tutto. Stanno dando pace all’intero corno d’Africa e, giorno dopo giorno, aiutano la verità ad emergere e a portare gente come Don Mussie a dover rispondere del suo operato ad un giudice. Il vento è cambiato, la narrativa pure.
(RED / Giut)